Come aspiranti cristiani, ma ancora santi imperfetti, potremmo non sempre comprendere le difficoltà degli altri o sapere come aiutarli. Ma possiamo sempre amarli, creando spazi sicuri in cui gli altri, e spesso noi stessi, possano lottare con le parole dure della vita.

Nell’agosto del 2008, il professor Eric D. Huntsman ha tenuto un discorso durante un devozionale alla BYU. Di seguito, la seconda parte.

Spazi sicuri per la condivisione del dolore e la comprensione

Quando Gesù pianse con Maria, le diede lo spazio per condividere il suo dolore e poi le mostrò la vera comprensione.

Quando le persone lottano contro delle parole dure, come la nostra storia razziale, la guarigione arriva solo quando ascoltiamo e riconosciamo ciò che sentono.

Alla celebrazione di “Be One”, il presidente Dallin H. Oaks ha riconosciuto tale dolore, passato e presente. Egli ha detto:

“Istituzionalmente, la Chiesa reagì prontamente alla rivelazione sul sacerdozio. Le ordinanze e le raccomandazioni per il tempio arrivarono immediatamente…

Al contrario, i cambiamenti nei cuori e nelle pratiche dei singoli membri, non si verificarono improvvisamente ed universalmente…

Alcuni, nella loro vita personale, hanno continuato ad avere atteggiamenti razzisti che sono stati dolorosi per così tanti, in tutto il mondo, inclusi gli ultimi 40 anni”.

Diversi anni fa sono diventato un buon amico di due donne meravigliose, energiche e vivaci, Tamu Smith e Zandra Vranes.

Conosciute come le “Sistas in Sion” (Sorelle in Sion), sono due blogger afroamericane membri della Chiesa, dalle quali ho spesso sentito descrivere le loro esperienze – buone e cattive – durante una serie di eventi ai quali abbiamo partecipato insieme come oratori.

Sistas in Sion

Sistas in Sion

Pensavo di aver capito e di essere sensibile a quelle esperienze, ma nelle settimane che hanno preceduto la celebrazione di “Be One”, ho partecipato a discussioni, online e di persona, in cui ho visto il loro dolore e il dolore dei loro fratelli e sorelle.

Ci sono state discussioni sulla differenza tra celebrare e commemorare la rivelazione del sacerdozio. Una lettera terribile e fraudolenta, che pretendeva di essere una scusa per il passato razzismo, riaprì vecchie ferite.

Ci furono persino dibattiti sull’appropriazione culturale, come se un alleato bianco come me non potesse cantare una canzone tradizionale di liberazione dei neri.

C’erano cose che non avevo capito e dolore che non avevo provato e dovevo resistere alla tentazione di trovare risposte o difese. Invece avevo solo bisogno di sedermi con loro, ascoltare e cercare di capire.

Allo stesso modo, in quest’ultimo anno ho avuto una studentessa che una volta ha cercato di esprimersi in classe. Lo ha fatto in modo goffo, cercando di trasmettere un’idea che un altro studente ha rapidamente ribattuto.

In modo inetto, ho cercato di colmare il divario. Ansioso di portare avanti la lezione, ho cercato di chiudere la conversazione che era, ironicamente, proprio sulle parole dure alla fine di Giovanni 6.

Più tardi, quel giorno, ho ricevuto un’e-mail dalla studentessa, che mi ha spiegato la sua continua lotta con una malattia mentale. Ha condiviso con me una poesia. Alcuni versi parlano del nostro bisogno di ascoltare e di cercare di capire le esperienze di qualcuno che lotta:

Tu dici

Non amo abbastanza

Non mi interessa abbastanza

Non sono abbastanza gentile

Non sono abbastanza bravo

          . . .

Ma tu non vedi

Sono spaventato

Sono spaventato

Sono rovinato . . .

Sono solo.

Quando siamo chiamati a piangere con coloro che piangono, anche quando potrebbero non essere alle prese con delle parole dure e ovvie come le problematiche sulla razza, la malattia mentale, il genere o la sessualità, dobbiamo semplicemente sederci con loro, per ascoltare ed amare.

Spazi per il libero arbitrio

Legge superiore - Spazi sicuri

One Shepherd — Howard Lyon

Proprio come Gesù non costrinse il giovane ricco a seguirlo e permise a quei discepoli che non potevano sopportare i suoi insegnamenti di andarsene, dobbiamo fare spazio per il libero arbitrio.

L’anziano Dieter F. Uchtdorf, allora membro della Prima Presidenza, ha osservato che oggi, quando le persone lasciano la Chiesa, “a volte pensiamo che sia perché siano state offese, perché siano pigre o abbiano commesso dei peccati. In realtà, non è così semplice.” Egli dice:

Potrebbe spezzarci il cuore quando il loro viaggio li allontana dalla Chiesa… ma onoriamo il loro diritto di adorare Dio Onnipotente secondo i dettami della loro coscienza, proprio come rivendichiamo quel privilegio per noi stessi”.

Ci è stato comandato di amare i nostri vicini come noi stessi e, quando si tratta di vicini, non ci sono estranei.

Forse ancora più importante, anche quando i nostri confratelli santi si trovano al di fuori dell’appartenenza alla chiesa, non dovrebbero mai trovarsi al di fuori della nostra amicizia e del cerchio del nostro amore.

Questo punto mi ha colpito alla fine di giugno, quando ero in tour con il Coro del Tabernacolo Mormone. In tour abbiamo regolarmente cantanti dei gruppi locali che si uniscono a noi, per il nostro sound check del pomeriggio, prima del concerto.

A Mountainview, in California, i cantanti locali erano membri del Coro degli Uomini Gay di San Francisco. Si presentarono con le loro magliette viola e furono accolti gentilmente e senza giudizio sulle tribune del coro.

Il loro direttore, il dott. Tim Seelig, è stato accolto calorosamente dall’anziano Donald L. Hallstrom, Autorità Generale dei Settanta, e dai dirigenti del nostro coro, e quella sera ha diretto il bis alla fine del nostro concerto.

Tra i nostri ospiti c’erano persone che potrebbero non diventare mai membri della Chiesa – e alcuni che lo erano stati – ma insieme abbiamo apprezzato la nostra comune umanità e l’amore condiviso per la musica.

Per quanto positiva sia stata quell’esperienza, per uno dei miei amici è stata difficile. Con il suo permesso, condivido parte della sua storia. Alex è un membro della Chiesa, un cantante del coro, una persona impegnata a mantenere le sue alleanze ed è gay.

Ma mentre stavamo costruendo ponti, si è sentito, riporto le sue parole, “come se fosse ancora sotto una roccia”. La sua continua scelta di rimanere nella Chiesa porta con sé il prezzo di continue lotte, frequenti dolori e considerevole solitudine.

Rimanemmo seduti insieme per quasi un’ora, durante la quale lui, come Marta, portò la sua testimonianza ma, come Maria, pianse.

Il presidente Ballard ha insegnato:

Dobbiamo ascoltare e capire cosa provano e sperimentano i nostri fratelli e sorelle LGBT.

Certamente dobbiamo fare meglio di quanto abbiamo fatto in passato, in modo che tutti i membri sentano di avere una casa spirituale dove i loro fratelli e sorelle li amano e dove hanno un luogo per adorare e servire il Signore.

Spazi per la gioia

Il salmista proclamò:

“La sera alberga da noi il pianto; ma la mattina viene il giubilo” (Salmo 30:5).

Ognuno di noi ha notti – e giorni – di pianto, in questa vita. Tutti noi sperimentiamo la perdita e il dolore, nelle loro varie forme. Quasi tutti abbiamo perso una persona cara, molti di noi hanno perso sogni e speranze.

giovani uomini della chiesaTutti noi rischiamo di perdere salute o capacità. Eppure, anche nella nostra perdita, possiamo provare pace e gioia. Ci è stata promessa “pace in questo mondo” e “vita eterna nel mondo a venire” (DeA 59:23).

Cristo è venuto affinché potessimo “avere la vita” e “averla in abbondanza” (Giovanni 10:10).

Ho scritto e parlato altrove della più grande perdita e angoscia della mia vita, la diagnosi di autismo del nostro unico figlio, Samuel.

Sebbene non sia stato formalmente diagnosticata fino all’età di quattro anni, aveva chiari ritardi nello sviluppo e difficoltà con l’autoregolazione emotiva fin da piccolo.

Eppure siamo stati pronti ad agire, quando iniziò a regredire, smise di sorridere, non si lasciava abbracciare e cominciò a perdere un po’ del linguaggio che utilizzava.

Il giorno in cui gli venne finalmente diagnosticato il suo disturbo, il bambino che pensavamo avremmo visto crescere e i sogni che avevamo per lui, sono morti.

Tuttavia, con un intervento precoce, l’aiuto di specialisti qualificati e molta preghiera ed ispirazione, abbiamo visto miracoli piccoli e grandi. Gli abbiamo insegnato a sorridere di nuovo e ha imparato a ricevere il nostro amore ed esprimere meglio il suo.

Nel marzo 2015, ho avuto la possibilità di ordinarlo all’ufficio di diacono e ora distribuisce fedelmente il sacramento ogni settimana. L’anno scorso, con l’aiuto della sua devota aiutante, Kelly Snelson, ha completato con successo il suo primo anno di liceo.

Mentre le nostre preoccupazioni per il futuro rimangono, con amore, testimonianza e sostegno nel nostro dolore, abbiamo molto spazio per la gioia. Il Salmista scrisse anche:

“Questo è il giorno che l’Eterno ha fatto; festeggiamo e rallegriamoci in esso” (Salmo 118:24).

Ho assistito e sperimentato questo tipo di gioia alla celebrazione di “Be One”. Dopo aver parlato di tanta lotta e fede, quell’evento è stato caratterizzato dalle canzoni gioiose di un coro multiculturale, guidato dalla sorella Gladys Knight.

Negli ultimi quindici anni, come membro del Coro del Tabernacolo Mormone, ho avuto molte opportunità di cantare agli eventi della Chiesa nel Tabernacolo di Salt Lake e nel Centro Conferenze.

Ma non mi sono mai sentito parte di una chiesa mondiale come quella notte, quando i santi – neri, ispanici, bianchi, polinesiani ed asiatici – hanno unito le loro voci in lode a Dio.

Spero che voi proviate la stessa gioia guardando quel coro che adora Dio attraverso il canto, con le seguenti parole:

Questo è il giorno che il Signore ha fatto;

Ci rallegreremo e ne saremo lieti.

Alziamo la nostra voce in lodi più alte;

Cantiamo gloria, cantiamo gloria a Dio.

Cantiamo gloria, cantiamo gloria a Dio.

Alleluia, cantiamo la più alta lode;

Signore, ne sei degno e lodiamo il tuo nome

dalla risurrezione di tuo Figlio,

È l’unico che può salvarci tutti dal peccato

Se lo lasciamo entrare.

Cantiamo gloria, cantiamo gloria a Dio.

Cantiamo gloria, cantiamo gloria,

Cantiamo gloria, gloria a Dio!

Prima di raggiungere tali mattine di gioia, dobbiamo aiutarci a vicenda nelle notti di lotta. Dobbiamo amarci l’un l’altro come Gesù ci ama!

ringraziare papàSenza cambiare la dottrina o compromettere i nostri standard, dobbiamo aprire di più i nostri cuori, protenderci più lontano ed amare più profondamente. Dobbiamo fare spazio per la lotta e la fede in attesa della vittoria finale, che è assicurata se veniamo a Gesù Cristo.

Per ogni cosa c’è una stagione e un tempo per ogni scopo sotto il cielo:

Un tempo per parlare, un tempo per ascoltare

Un tempo per agire, un tempo per sedersi

Un tempo per testimoniare, un tempo per piangere

Un tempo per abbracciare e un tempo per lasciarsi andare

Un tempo per incoraggiare e un tempo per accettare.

Questa è la Chiesa di Gesù Cristo. Amo la meravigliosa diversità del mosaico che è il corpo di Cristo, ogni bellissimo pezzo che riflette la gloriosa luce dell’amore di Dio.

Mentre lottiamo tutti insieme, possiamo veramente rendere le nostre famiglie e amicizie, i nostri quartieri e rioni e le nostre aule e uffici, spazi per l’amore, spazi per la testimonianza, spazi per la condivisione del dolore e la comprensione, spazi per il libero arbitrio e spazi per la gioia. Spazi sicuri.

Grazie a Dio, che ci ha dato questa vittoria in Gesù Cristo, nostro Signore. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

Leggi la prima parte del discorso cliccando qui: Parole dure e spazi sicuri (parte I): fare posto al dubbio oltre che alla fede

Parole dure e spazi sicuri (parte II): ascoltare, comprendere ed amare è stato scritto da Eric D. Huntsman e pubblicato sul sito speeches.byu.edu. Questo articolo è stato tradotto da Cinzia Galasso.